sabato 17 novembre 2007

LA MANCATA CADUTA DI PRODI

Gli autentici motivi per cui Prodi non è caduto
di Gianfranco La Grassa - 17/11/2007





Pregherei di leggere il mio pezzo di qualche giorno fa, “Politica in dissoluzione, economia in degrado”, in cui ipotizzavo gli autentici motivi per cui Prodi non sarebbe caduto, e svergognavo la manfrina svolta intorno alla finanziaria, che è servita solo a tenerlo sulle spine, costringendolo a trattare per dare soldini a destra e a manca (il Premier ha ricevuto perfino un senatore alla volta per conquistarsi il suo voto con promesse varie su questo o quell’emendamento, la somma delle quali ha dilatato la spesa legata alla finanziaria di un 20-25%, almeno). Nessun giornale ha dato finora queste spiegazioni, tutti sono rimasti rigorosamente agganciati all’indegno mercato (perché si dice delle vacche, animali utili che ci danno latte e quindi burro, ecc.?) svoltosi sulla scena dove recitano le ombre di meschini e corrotti comprimari.

Oggi, miracolo!, leggo un pezzo di Paragone (nient’affatto uno sciocco, e non per questo pezzo soltanto, sia chiaro) su Libero in un articolo intitolato significativamente “Il sospetto: la finanza dietro la svolta di Lamberto”. Ne trarrò appunto un paragrafo (titolo altrettanto significativo: “lo zampino di Mieli”), in attesa che l’amico G.P. metta nel blog l’articolo di Festa sul Foglio di oggi, che sostiene tesi simili. Finalmente, pur timidamente, appare anche sulla stampa la reale regia che fa di queste comparse, in agitazione scomposta sulla scena, una masnada di miserabili che deve essere spazzata via presto, pena una sorte dell’Italia del tutto simile a quella dell’Argentina di una decina d’anni fa.



“Lambertow trova origine negli ambienti finanziari del Fondo monetario. Dini, di quel mondo, è ancora un frequentatore. All’estero, ma anche in Italia. Si sa che in questa fase la finanza italiana sta vivendo qualche passaggio delicato, come dimostrano i movimenti in Mediobanca, in Generali e in altri patti di sindacato interessanti. Il nome di Berlusconi non è certo un Carneade e Fininvest è al centro di grandi manovre. Perché, allora, agevolare l’impero di Arcore proprio adesso? Il governo Prodi, per quanto pessimo, non deve cadere a lavori in corso [la mia stessa tesi, sostenuta nell’articolo sopra citato, che è però di 4-5 giorni fa!; ndr]. Questo, in soldini, sarebbe stato il ragionamento che alcuni ambienti finanziari avrebbero fatto all’amico Lambertow [viene dimenticato, non a caso, il “gruppo Fiat” e i vertici di Confindustria, che Libero non tocca mai, anzi li “alliscia” sempre].

Vera o falsa, la tesi è affascinante. E verrebbe confortata anche dal fatto che il Corriere della Sera, proprio alla vigilia del voto finale e a trattative ancora calde, ha pubblicato con ampio risalto la lettera del senatore eletto all’estero, Nino Randazzo, in cui si raccontava l’incontro riservato tra il senatore e Berlusconi. Perché farlo, e cosa c’entri con il no di Dini, è presto detto. I motivi sarebbero due: primo, denunciare il mercato delle vacche; secondo, avvertire Dini del trattamento che gli avrebbero riservato in caso di ribaltone. Pare che il colpo sia andato al bersaglio, smontando così in una manciata di ore il piano berlusconiano. Dini infatti avrebbe mandato a dire al Cavaliere che a quel punto davvero il suo no sarebbe stato inutile ai fini della conta finale e andare al massacro non conveniva a nessuno.

Da qui, infine, il piano alternativo. Che non è proprio un piano b, ma un a-bis. Spieghiamo. Dini e Bordon (a proposito: su Bordon le pressioni sono arrivate dai referendari, i quali temono lo scioglimento anticipato delle Camere perché così il referendum salterebbe automaticamente) votano si alla manovra ma lo considerano l’ultimo atto politico a favore della maggioranza di Romano Prodi. Idem fanno Pallaro e altri senatori eletti all’estero. Lo fanno alla luce del sole, evitando così dietrologie e frecce avvelenate……..Insomma il premier sarebbe avvertito: dal prossimo giro non contare su di noi. Capiterà allora che i Liberaldemocratici si uniranno all’Unione democratica di Bordon e Manzione per fare un gruppo autonomo, fuori dalla maggioranza. Si dice che a questo gruppo si aggiungerebbero pure l’Udeur di Mastella e l’udc Mario Baccini. Se così fosse il messaggio che ne esce sarebbe: il governo è arrivato al capolinea. Prodi è meglio se si dimette. Conclusione: si vada al voto [questa conclusione mi sembra sbagliata; ndr].

Ecco lo scenario di cui si parla nel sottoscala del Palazzo. A noi che invece siamo umile gente di cortile non torna solo una cosa: cadere per cadere, perché non farlo subito?”



Questo il pezzo. La domanda finale è in aperta contraddizione con l’inizio. I motivi per cui il governo non deve cadere subito erano già stati chiariti, trattando sia dei rapporti di Dini con la grande finanza che dei giochi in cui quest’ultima è invischiata; finché ci sono “i lavori in corso”, di cui parla lo stesso Paragone, il governo non può sbaraccare. E’ strano: l’autore del pezzo sopra riportato l’aveva appena ricordato, e poi ha fatto il finto ingenuo con la domanda finale. Inoltre, ribadisco che è stata dimenticata (ad arte) l’industria decotta, alleata della grande finanza parassitaria (e succube di quella americana; altro punto che i giornali di destra occultano perché sono i più forsennati nel filoamericanismo e filosionismo). Comunque, il bruciore della sconfitta, subita dalla loro smania di mandare via Prodi al più presto, li spinge a rivelare qualche verità su ciò che di sostanziale muove il ceto politico di puri venduti e manigoldi; dei personaggi – perfino quelli che si dicono “comunisti” – talmente marci e anche scemi da far paura.

Pensate che c’è ancora chi tenta si salvarsi la coscienza protestando perché Rifondazione vuol abbandonare “falce e martello”. Ma “ci sono o ci fanno?”. Salvano il governo della grande finanza, consentono a quest’ultima di avere tutto il tempo di risolvere al meglio (per se stessa) “i lavori in corso”, un ginepraio di luridi giochi che ormai impoveriscono l’Italia e la stanno portando verso il sudamerica (di anni fa); e però vogliono ancora conservare i simboli di una rivoluzione che scosse dalle fondamenta il grande potere mondiale finanziario e industrial-capitalistico. Ma voi non dovete più insistere con la “falce e il martello”; le vostre insegne di “uomini piccoli-piccoli” debbono diventare “la felce e il mirtillo”. Così, fra l’altro, potete meglio collegarvi a quegli altri meschini e imbroglioni che si dicono “verdi”, la muffa della società “veltronian-buonista”. Quando sarà possibile liberare il paese da questo immenso cumulo di spazzatura, darò una grande festa a casa mia con il miglior champagne francese.

A fine settimana riporterò, contro questa gentaglia, la canzone di Jenny dei Pirati dall’Opera da tre soldi di Brecht. Per lunedì, spero di mettere sul blog uno scritto che ribadisca quanto già scritto in quello citato all’inizio, e di cui quelli di Paragone (sopra riportato) e di Festa sul Foglio sono una conferma.

1 commento:

Fronte Sociale Pesaro Urbino ha detto...

hai proprio ragione Gianfranco la gente Vi guarda!
ottima intervista, da vero uomo de La Destra....