lunedì 17 agosto 2009

Il fantasma della solitudine spaventa l’Europa senz’anima


di Claudio Siniscalchi - 17/08/2009 Fonte: Libero



Violenza, droghe, tradizione in frantumi: lo storico Matthew Fforde racconta la crisi della società inglese. E spiega perché potrebbe contagiare tutto il Vecchio Continente Nel film di fantascienza di Danny Boyle “28 giorni dopo” (2003), un gruppo di animalisti compie un’azione di protesta, per liberare alcune scimmie dalla vivisezione. Il gesto si rivela una catastrofe. Una scimmia è portatrice di un virus devastante. 28 giorni dopo la liberazione degli animali, un giovane si risveglia dal coma in un ospedale di Londra. Ma la città non esiste più. Gli edifici sono rimasti gli stessi; in compenso è scomparsa l’umanità, come nel resto dell’Inghilterra, abbattuta dal virus malefico. La pandemia da febbre suina degli ultimi tempi, che ha allarmato non poco Londra e l’Inghilterra, naturalmente non è la materializzazione degli incubi del film di Boyle. In realtà “28 giorni dopo” è la spia (voluta o inconsapevole poco importa) di un problema tremendamente più complesso: la fine dell’Inghilterra come modello per l’Occidente. Leggendo il saggio di Matthew Fforde, storico inglese trapiantato a Roma, Desocialisation. The Crisis of Post-Modernity (Gabriel, pp.. 356, £.15,99), l’idea del crollo del modello emerge senza mezzi termini. L’Inghilterra ha rappresentato il laboratorio più avanzato dello sviluppo economico capitalista, del parlamentarismo liberale, della democrazia, della resistenza ai peggiori mali ideologici del Novecento (comunismo e fascismo), delle politiche del welfare state, della perfetta alternanza tra differenti ipotesi governative entrambe moderate. Poi l’Inghilterra è diventata il laboratorio della secolarizzazione e successivamente del multiculturalismo. E per diventarlo ha dovuto divorare se stessa, la propria storia, la propria identità cristiana. In altre parole, come ci suggerisce Fforde nel suo bellissimo libro, si è dovuta “desocializzare”. Oggi l’Inghilterra è il ritratto della crisi; una crisi spaventosa. E visto che ha rappresentato sempre un polo di attrazione per l’Europa e l’Occidente, il futuro che ci aspetta, come il film di Danny Boyle ben visualizza, conserva i contorni pacifici e attraenti della bellezza dei monumenti londinesi, dei bei palazzi e dei giardini perfettamente curati, ma in realtà è un incubo. Matthew Fforde è un inglese trapiantato a Roma, passato dalla religione anglicana a quella cattolica, e approdato nella “città eterna” per scrivere appunto il libro sulla desocializzazione della Gran Bretagna. Già il passo estrapolato dalla Genesi, posto sotto il titolo del saggio, ne suggerisce la chiave di lettura: «Non è bene che l’uomo sia solo» Parafrasando una famosa idea di Marx, Fforde ricorda che un fantasma si aggira per la Gran Bretagna: il fantasma della solitudine. La condizione dell’uomo postmoderno nel Regno Unito è l’abbandono: uomini soli, donne sole, bambini soli, anziani soli. La solitudine è il tratto saliente della crisi di identità che l’Inghilterra, dagli anni Sessanta ad oggi, sta vivendo. Il processo di desocializzazione è cominciato con l’arrivo del benessere diffuso, con il trionfo della società dei consumi. La “swinging London” con le canzoni dei Beatles e le gonne corte di Mary Queen, ha marcato un passaggio epocale. Poi la crisi culturale ha portato alla vittoria del relativismo (ritenuto da Fforde, in sintonia con il pensiero di Joseph Ratzinger, autentica filosofia del vuoto), della scristianizzazione (soprattutto anglicana), del trionfo del politicamente corretto e del multiculturalismo. La Gran Bretagna ha smarrito la propria anima. Oggi dai mitici “cabs” (i vecchi taxi) è sparita la Croce di San Giorgio (lo stesso stemma di Milano: croce rossa in campo bianco), così come è sparita dagli ospedali e dagli aeroporti, perché offende la sensibilità islamica. Le Corti islamiche (dove si segue la legge della Sharia) in Gran Bretagna aumentano a vista d’occhio, mentre le chiese chiudono i battenti. La tradizione inglese è andata in mille pezzi: tutto ciò che è negativo negli ultimi tre decenni nel Regno Unito è aumentato. Consumo di alcolici, droghe, tranquillanti. La criminalità e la violenza giovanile hanno fatto registrare preoccupanti impennate. La disaffezione degli inglesi verso la politica, l’associazionismo, la filantropia, è sotto gli occhi di tutti. La famiglia e la scuola non hanno retto l’urto. Così, conclude Matthew Fforde, la Gran Bretagna è diventata il modello di una società in fase avanzata di desocializzazione. Tutto ciò, a parere dello storico inglese, dipende dalla crisi spirituale del popolo britannico. L’abbandono della fede anglicana, e il depotenziamento dei suoi insegnamenti morali, hanno reso sin troppo vulnerabile l’Inghilterra. Le riflessioni di Matthew Fforde sono durissime e amare, ma non per questo meno veritiere. Per rispondere alla irreversibilità della crisi, Fforde si richiama al personalismo di Maritain, agli insegnamenti degli ultimi due pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, a Solzhenitsyn e ai grandi scrittori morali inglesi Benson ed Eliot. Se ha fallito il pensiero anglicano, svuotatosi di significato per una inutile rincorsa alle perpetue variazioni del mondo, quello cattolico rappresenta un’isola di salvezza. la nuova edizione Nell’ultimo decennio Fforde per ben tre volte ha rivisto questo ponderoso studio: una prima edizione inglese ad uso universitario (pubblicata a Roma) nel 2000, una seconda edizione italiana uscita presso Cantagalli nel 2005 (premio Ischia) e ora il nuovo aggiornamento presso Gabriel Communications, gruppo editoriale vicino alla Conferenza Episcopale inglese. Sarà bene continuare ad indagare sul modello inglese. Lì c’è la prefigurazione del nostro futuro. Ed è un futuro dai tratti orwelliani, che sarebbe meglio evitare.

Nessun commento: