sabato 8 gennaio 2011

Il futuro dei nostri figli appaltato agli indovini.

Un tipo di consumo ha attraversato la crisi senza problemi, e si impenna sempre in queste prime settimane dell’anno: quello di responsi di maghi e indovini. A cosa mai è dovuto questo successo?

I commentatori che se lo chiedono faticano a coniugare l’irrazionalità di queste aspettative con lo sviluppo tecnico e scientifico elevato del nostro stile di vita. Il fatto è che dietro al consumo di oracoli c’è una domanda antichissima e urgente, a cui nessuno oggi risponde: chi sono io?

Chi consulta indovini ed astrologi cerca inconsciamente di vedere, nascosto nelle notizie su cosa accadrà, qualcosa di più profondo che riguarda l’identità personale: che tipo sono, cos’è che davvero mi piace, e, quindi, cosa devo fare per ottenerlo?

Queste domande vengono rivolte a detentori di saperi più o meno esoterici, come anche a psicologi, preti e medici, semplicemente perché le persone non sono più abituate a porsele direttamente, cercando di impegnarsi a rispondere attraverso l’esame e il riconoscimento dei diversi aspetti della propria vita.

In passato, il mettere l’allievo in grado di rispondere alla domanda: chi sono io, è stato, da Socrate in poi, al centro dell’esperienza educativa nel mondo occidentale. Ogni ceto sociale ed ogni cultura nazionale o regionale ha cercato di rispondervi a proprio modo.

Il buon maestro, come il bravo genitore, era chi aiutava l’allievo, o il figlio, a rispondere a questa domanda attraverso il lavoro di auto riconoscimento, parte essenziale dell’educazione. In essa, l’allievo sviluppava il senso di sé, la percezione di essere portatore di qualcosa che gli apparteneva, e che doveva curare e nutrire, o affermare e di difendere se minacciato.

Il sé raccoglie aspetti diversi secondo la personalità e biografia personale: fisici, come il corpo; psicologici, come il carattere, gli affetti; valoriali, come le cose in cui crediamo; antropologici, come la famiglia e la cultura di appartenenza. Elementi caratteristici del senso di sé sono l’affermazione personale, la difesa, l’istinto di conservazione.

Il filosofo Friedrich Nietzsche li riassunse nel termine: “volontà di potenza”, spinta vitale comune ad ogni essere vivente, umano, animale o vegetale, come dimostra lo stelo d’erba che cercherà poi di diventare ciuffo, allargando il proprio spazio originario e nutrendo gli altri steli cui ha dato origine.

Oggi né maestri né genitori aiutano più i giovani a riconoscere un “senso di sé”, insegnando loro a raccogliere le informazioni che gusti, successi, insuccessi e passioni forniscono col passare del tempo e delle esperienze. L’accento non è più sul chi sono io, ma sul come dovrei essere.

Nel frattempo l’indebolimento del corpo e dei sensi, non più impegnati in attività pratiche, la crescente dipendenza dagli altri e dai modelli collettivi, il prevalere nel tempo libero del guardare sul video (di computer, tv, videogiochi) immagini e proposte preconfezionate, giocano contro una positiva affermazione e sviluppo del senso del sé, contenitore della stessa spinta (o istinto) vitale dell’individuo. A questo senso per certi versi antico e primordiale, che l’educazione tradizionale completava con informazioni su chi siamo e cosa possiamo fare, il modello culturale dominante ha sostituito il ricevere passivamente informazioni uguali per tutti, e modelli di comportamento predisposti. Il risultato è che l’individuo, non ha più, spesso, spinte e obiettivi personali, e non sa chi veramente egli sia. Genitori e educatori non sono più abituati a dirglielo, e neppure se lo chiedono. Non stupiamoci se lo domanderà a un indovino.
di Claudio Risé - 07/01/2011


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