domenica 24 ottobre 2010

UNA "PICCOLA" DONNA CONTRO IL GIGANTE CINESE: REBIYA KADEER

Rebiya Kadeer e Giancarlo D'Anna alla III Marcia Internazionale per la Libertà
 Rebiya Kadeer sta cercando di tutelare raccontando in tutto il mondo i problemi della sua popolazione che vive nel Turkestan Orientale( Xinjiang per i cinesi) dopo la starge del 2008 i principali mass media hanno progressivamente perso interesse per una vicenda che ad oggi, secondo gli ultimi dati recuperati attraverso internet, avrebbe causato centinaia di morti.

Rebiya rappresenta  per gli uiguiri quello che per il Dalai Lama rappresenta per il popolo tibetano.



Candidata al premio Nobel per la Pace nel 2009, la signora Kadeer ha partecipato a Roma ieri alla III Marcia Internazionale della Libertà. Lo scorso anno, sempre in Italia, ha presentato la sua biografia “La Guerriera Gentile”.


CHI E' REBIYA? LEGGI L'INTERVISTA RILASCIATA A "POPOLI"LO SCORSO ANNO E QUELLA DEL "CORRIERE DELLA SERA" DEL 22 OTTOBRE 2010

 

Intervista alla donna che guida la lotta contro Pechino

08-07-2009 di Federico Bastiani



Il Dalai Lama degli uiguri vive in esilio negli Stati Uniti: “Non mi fido del presidente Jntao”


Perché ha lasciato il G8? Per fermare o pianificare il massacro?



La casa editrice non poteva scegliere un titolo migliore per la copertina dell’edizione italiana della biografia di Rebiya Kadeer. “La Guerriera Gentile” (Corbaccio, 22,60 €) è Rebiya, una donna di etnia uiguri candidata al premio Nobel per la pace, combatte la sua battaglia quotidiana contro la Cina per il rispetto dei diritti umani del suo popolo.

Lei è diventata nel corso degli anni quello che il Dalai Lama rappresenta per i tibetani.

Nata nel 1948 nell’ex Turkestan orientale (oggi Xinjiang), ha subito la rivoluzione culturale cinese, con la famiglia di etnia uiguri (di religione musulmana) è stata cacciata più volte dalla propria terra. Non si è mai data per vinta, ha sempre rifiutato di “cancellare” la propria cultura per allinearsi alla volontà cinese di un popolo unico. Da semplice lavandaia è diventata imprenditrice miliardaria. Ha partecipato alla Quarta Conferenza mondiale sulle donne dell’Onu a Pechino nel 1995 e ha trascorso cinque anni in carcere. Rilasciata nel 2005 ha raggiunto il marito (anche lui perseguitato dalla Cina) negli Stati Uniti e da allora viaggia per il mondo per parlare delle violazioni dei diritti umani subiti dal suo popolo.

Popoli ha intervistato Rebiya Kadeer a Roma in occasione della presentazione del suo libro.



Rebiya, cosa chiede esattamente alla Cina?

Noi uiguri lottiamo per il rispetto dei diritti umani e non chiediamo l’indipendenza dalla Cina come qualcuno ha scritto. Certo, saremmo contenti di averla ma adesso non è possibile avanzare richieste di questo tipo alla Cina perché la situazione politica ed economica mondiale non permetterebbe una richiesta simile.



Come mai la vostra battaglia non è conosciuta a livello mondiale come lo è invece la questione tibetana?

Le motivazioni sono due. Per prima cosa il Dalai Lama ha avuto la possibilità di lasciare il Tibet e di rifugiarsi in India negli anni 60 ed ha avuto solo in quel momento il diritto di parola, invece nel Turkestan orientale non abbiamo mai avuto un leader prima di me che dall’estero abbia avuto la possibilità di raccontare la situazione del mio popolo. In passato negli anni ’50 alcuni rappresentanti uiguri sono stati invitati da Mao Zedong e da Stalin per parlare del Turkestan orientale però durante il viaggio verso Pechino l’aereo dove stavano viaggiando è stato fatto esplodere. Ci sono stati altri leader ma ogni volta che tentavano di parlare o venivano condannati a morte, o torturati, o imprigionati quindi nessuno prima di ma ha avuto il diritto di parola. Secondo motivo, la religione. I tibetani sono buddisti quindi la comunità internazionale li associa ad un popolo pacifico invece noi uiguri siamo musulmani e purtroppo la comunità internazionale vede i musulmani in modo negativo. In realtà nella mia regione noi non abbiamo la libertà di culto perché è vero che nella costituzione abbiamo la libertà di credere ma non di praticare. Noi non abbiamo la libertà di parlare la nostra lingua, di praticare la nostra religione, di tramandare la nostra cultura. Le donne uiguri sono deportate all’interno della Cina, i malati sieropositivi cinesi deportati nella nostra regione, le donne non possono avere più di due figli, non possiamo studiare la nostra storia, è un regime di oppressione totale.



Lei rifiuta la violenza, ha scelto il percorso politico. Nel suo libro parla degli incontri avuti con l’ex presidente cinese Zemin e delle delusioni avute. Crede ancora nella politica?


Io sono favorevole al dialogo con la Cina, in passato credevo in Zemin ed anche a Jintao (attuale presidente cinese, ndr) e per questo tenevo ad avere un dialogo con loro. Ora non ci credo più ma spero che costoro possano cambiare la propria politica verso il mio popolo.



L’attacco alle torri gemelle del 2001 ha complicato la vostra battaglia, si è detto che anche fra gli uiguri si nascondessero dei terroristi.

La Cina ha utilizzato l’attacco alle torri gemelle per aumentare la repressione verso il mio popolo. Poi durante le ultime Olimpiadi ha ribadito al mondo di quanto siamo pericolosi, che si nascondono dei terroristi fra noi, e l’ha detto anche, e solo, l’Interpol. Non sappiamo quanti soldi abbia sganciato la Cina all’Interpol per far strappare queste dichiarazioni. In realtà gli altri paesi del mondo in tutti gli incontri bilaterali nessuno ha mai detto che il mio popolo è un paese di terroristi, lo dicono i cinesi. Io non so se ci siano delle piccole cellule terroristiche ma sono sicura che la maggior parte del mio popolo sia pacifico, crediamo nel dialogo, di questo sono certa.



Adesso attraversiamo una tremenda crisi economica mondiale, il mondo ha bisogno della Cina, c’è il rischio che veniate dimenticati?

La crisi economica verrà usata per portare i paesi democratici dalla parte dei cinesi, anche quei paesi che prima si schieravano dalla nostra parte. Però non voglio essere pessimista perché più la Cina continuerà a creare questo regime di oppressione e prima i paesi democratici si renderanno conto di quello che è realmente la Cina, prima o poi apriranno gli occhi e si renderanno conto di questo regime dittatoriale che subiamo.



Lei si è iscritta al Partito Radicale Transnazionale di cui fa parte anche Marco Pannella, quale contributo può dare l’Italia per il suo popolo?

Quello che chiedo all’Italia attraverso il Partito Radicale è di aiutarci a chiedere di instaurare un dialogo con la Cina a livello politico ed economico perché la mia lotta è quella di migliorare i diritti umani nel Turkestan orientale, avere più libertà e democrazia.



Lei oggi vive negli Stati Uniti con suo marito, ed i suoi figli?


Parte di essi vivono con me negli Stati Uniti, altri continuano a vivere in Turkestan orientale. Due miei figli sono ancora in prigione, uno ha una fattoria ed ha sempre la polizia cinese alle costole.




Corriere della Sera

L' intervista La pasionaria Rebiya Kadeer

«Basta repressione E' ora che Pechino tratti con gli uiguri»

«L' autonomia non è sufficiente» Colonia Sono aumentate nello Xinjiang le requisizioni di terre e proprietà da parte dei cinesi Diritti Il popolo uiguro e il popolo cinese hanno in comune l' aspirazione a democrazia e diritti umani


Il suo obiettivo è l' autodeterminazione degli uiguri. Né più, né meno. Semplice e diretta, minuta ma instancabile, Rebiya Kadeer, 63 anni, voce in esilio di un popolo travolto dalla Storia, non crede più nella possibilità di vivere all' interno della Repubblica Popolare cinese se non sarà garantito un distacco più netto. «Dopo il massacro da parte delle forze di sicurezza di Pechino, nel luglio di un anno fa - spiega al Corriere - la maggioranza della mia gente ritiene che soltanto un Turkestan Orientale (per i cinesi: la provincia dello Xinjiang, ndr) separato possa garantire loro sicurezza e diritti fondamentali». Rebiya Kadeer, sei anni in una prigione, in Cina, per «attività separatiste», presidente del Congresso mondiale degli uiguri che ha sede a Washington, sarà a Roma domani per prendere parte alla terza edizione della Marcia internazionale per la libertà, organizzata su iniziativa di Società Libera con la partecipazione del Partito radicale nonviolento e dei Radicali italiani. Un evento quest' anno dedicato ai popoli birmano, iraniano, tibetano e, appunto, uiguro. «Ho gradito moltissimo l' invito di Società Libera - conferma la pasionaria, candidata per diversi anni di seguito al Premio Nobel per la Pace -. Sono convinta che questa manifestazione pacifica aiuterà gli italiani a comprendere le nostre ragioni e approfondire la conoscenza di un regime autoritario: quello cinese». Com' è la situazione nello Xinjiang a un anno dai moti anti-cinesi? «La situazione sta peggiorando terribilmente. Invece di cercare di comprendere le nostre istanze, le ragioni di una sollevazione, Pechino ha colto al balzo l' occasione per intensificare la repressione e la distruzione delle città, della cultura, della lingua, della religione e delle usanze del popolo uiguro. Allo stesso tempo, sono aumentate le requisizioni di terre e proprietà per facilitare la colonizzazione del nostro territorio da parte dei cinesi». Due tra i suoi figli sono in prigione: ha speranza che possano essere liberati? «I miei figli sono stati incarcerati in rappresaglia per le mie aperte critiche contro Pechino dopo la mia liberazione e il mio esilio negli Stati Uniti, a partire dal marzo 2005. Uno è stato condannato per "evasione fiscale", un altro per aver "complottato contro lo Stato". Sono in prigione da quattro anni, in pessime condizioni. Io continuo a sperare che il governo cinese voglia fare la cosa giusta: liberarli perché non siano puniti per le "colpe" della madre». Lei è stata candidata più volte al Nobel per la Pace: cosa pensa del premio conferito al cinese Liu Xiaobo? «Sono davvero felice per lui. E spero che questo premio aiuti l' intera Cina nel suo cammino verso il progresso e la democrazia». Il Xinjiang è da secoli nella sfera di influenza cinese. Cosa c' è in comune tra i vostri due popoli? «Sia il popolo cinese sia il popolo uiguro sognano diritti umani, democrazia e libertà: ecco che cosa abbiamo in comune. Tuttavia, il Turkestan Orientale, così chiamiamo noi la nostra terra, è parte della sfera cinese da un tempo relativamente breve. Difatti, Xinjiang, in mandarino, significa proprio: "Nuovi territori". Fu la dinastia mancese dei Qing, che non era nemmeno etnicamente cinese, a chiamare così il nostro mondo, nel 1884. Dal 1949, con la fondazione della Repubblica Popolare, è in atto una politica sistematica di assimilazione degli uiguri: vogliono cancellare la nostra identità». Cosa vi proponete di fare? «Io chiedo al governo di Pechino di dar vita al più presto a un negoziato per trovare, insieme, una soluzione pacifica alla questione del Turkestan Orientale. Mi batto perché per gli uiguri ottengano il diritto all' autodeterminazione. Non crediamo più all' autonomia. Vogliamo qualcosa di più». Paolo Salom

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