Siamo strattonati tra due informazioni: c'è produzione alimentare per 12 miliardi di persone (e siamo “solo” 6 miliardi); un miliardo di persone non ha abbastanza cibo per sopravvivere.
Ma la risposta sta già nell'enunciazione del problema: c'è molta produzione alimentare; non c'è abbastanza cibo. Quella che chiamiamo produzione alimentare è merce, fatta per essere venduta e comprata. Non può sfamare chi non ha denaro. Deriva da un sistema agricolo che mira al mercato, che produce commodities, che si regola nelle borse merci. Il “cibo” è un'altra cosa. E' quello delle attività agricole di piccola e media scala, i cui prodotti mirano a essere mangiati. Se uno fa cibo, i suoi riferimenti sono i gusti e i disgusti, le necessità di salute del prossimo e della terra. Se uno produce merce i suoi riferimenti sono le possibilità di acquisto del prossimo.
L'agricoltura industriale non sfama il mondo perché il suo obiettivo è un altro, è arrivare ai mercati e raggiungere chi ha potere d'acquisto. Anche le relazioni dell'ONU sulla fame nel mondo dicono che è l'agricoltura familiare di piccola e media scala a sfamare il mondo. E non lo sfama soltanto: lo rende più interessante, vario, sano, resistente, bello, colto. Ed ecco, infine, perché sprechiamo: perché compriamo merci, non cibo. Se ci regalano del pane di montagna, cotto come dio comanda in un forno a legna, quello è cibo, e non ne sprecheremo una fetta. Si spreca, noi privatamente, ma soprattutto i supermercati in via istituzionale, perché si comprano prodotti senza storia e senz'anima (e, spesso, senza sapore) come fossero scarpe o bulloni. Ma le scarpe o i bulloni non hanno la data di scadenza, non dobbiamo buttarli via per sostituirli. La macabra danza dell'eccesso, dello spreco e della fame verrà analizzata Sabato 23 Ottobre, ore 12 al Salone del Gusto, da Silvio Greco, Angelo Cau, Laura Ciacci, Andrea Segrè, Marco De Ponte, Sergio Marelli (http://www.salonedelgusto.it/).
Fonte: slowfood [scheda fonte]
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