giovedì 19 maggio 2011

Giovani. Censis: l'11,2% dei giovani non ha interessi. Record negativo d’Europa

Giovani. Censis: l'11,2% dei giovani non ha interessi. Record negativo d’Europa



Si definiscono “Neet” (dall'inglese Not in education, employment or training) e sono i ragazzi che non hanno interessi culturali, che non vogliono studiare né lavorare. Per pigrizia o forse per una desolazione generazionale che in Italia colpisce l'11,2% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni. Un dato tre volte più alto della media europea (3,4%) e di molto peggiore a quello di altri Paesi come Francia (3,5%) e Inghilterra (1,7%). Come rilevano i dati presentati ieri dal direttore del Censis, Giuseppe Roma, in audizione presso la commissione Lavoro della Camera.



18 MAG - È allarme occupazione in Italia. Ma questa volta non si tratta tanto della carenza di offerte di lavoro. I giovani italiani non sono impegnati in nulla e neanche vogliono esserlo. Nessun interesse culturale, nessun interesse a trovare lavoro, nessun interesse a fare l’apprendista per imparare un mestiere. È il quadro di una generazione “No Future”. Ed un problema soprattutto italiano. Questa desolazione riguarda infatti l'11,2% dei nostri ragazzi tra i 15 e i 24 anni contro il 3,4% della media europea e di molto peggiore di quello tedesco (3,6%), francese (3,5%), inglese (1,7%) e spagnolo (0,5%). Come rilevano i dati presentati ieri dal direttore del Censis, Giuseppe Roma, in audizione presso la commissione Lavoro della Camera.



Inoltre, la popolazione di età compresa tra i 15 e i 34 anni in Italia è diminuita di oltre 2 milioni di cittadini dal 2000 al 2010. I giovani “sono merce rara”, ha affermato Roma spiegando che i dati italiani sono i più bassi insieme a quelli tedeschi. Ma se in Italia i giovani inattivi (Neet, come definiscono dall’inglese “Not in education, employment or training”) sono più che in ogni altra parte di Europa, è anche vero che ci sono altri preoccupanti dati ad alimentare lo sconforto: in Italia lavora il 66,9% dei laureati di 25-34 anni, contro una media europea dell’84% e contro l’87,1% della Francia, l’88% della Germania, l’88,5% del Regno Unito. Al contrario di quello che accade negli altri Paesi europei, il tasso di occupazione tra i laureati italiani di 25-34 anni è più basso di quello dei diplomati della stessa fascia di età (69,5%). Non solo, il tasso di occupazione dei laureati si è ulteriormente ridotto nel tempo, scendendo dal 71,3% del 2007 al 66,9% del 2010.



Certo è anche che i giovani italiani acquisiscono adeguati livelli d’istruzione più tardi. Tra i “middle young” (25-34 anni), quando normalmente il ciclo educativo dovrebbe essere compiuto, il 29% ha concluso solo la scuola secondaria inferiore, contro il 16% di Francia e Regno Unito e il 14% della Germania. I laureati registrano i valori più bassi rispetto agli altri grandi Paesi europei: il 20,7% a fronte di una media europea del 33%, del 40,7% del Regno Unito e del 42,9% della Francia. Benché siano di meno, hanno però meno occasioni di lavoro rispetto ai laureati europei.

Dati i tempi prolungati dei diversi cicli formativi, l’ingresso nella vita lavorativa per i giovani italiani è ritardato rispetto agli altri Paesi europei. Fra i più giovani (“young young”: 15-24 anni) il 59,5% risulta ancora in formazione, rispetto al 53,5% della media dell’Ue, il 45,1% della Germania e il 39,1% del Regno Unito. Gli occupati sono il 20,5% rispetto al 34,1% della media europea, il 46,2% della Germania e il 47,6% del Regno Unito. La vera anomalia italiana è rappresentata dai giovani che non mostrano interesse né nello studio, né nel lavoro: in Italia sono il 12,1% rispetto al 3,4% della media europea.



Per i “middle young” (25-34 anni) c’è inoltre una inversione fra chi studia (dal 60% si scende al 7%) e chi lavora (dal 21% si sale al 65%), e crescono le persone alla ricerca di un lavoro o esclusi da qualsiasi attività (dal 20% al 28%). È bassa la partecipazione al lavoro nell’età dell’apprendistato e del diploma. Nei successivi dieci anni, la quota di chi non ha avuto accesso alla vita attiva, alla piena autonomia e responsabilità raggiunge il 35% tra i 25-34enni, e la percentuale sale al 45% tra le donne e al 53% nel Mezzogiorno.

“E non bisogna neanche agitare lo spauracchio del lavoro precario”, ha spiegato Roma alla commissione. I giovani occupati a tempo determinato in Italia sono il 40,1% nella classe di età 15-24 anni e l’11,5% tra i 25-39enni, meno che negli altri grandi Paesi europei. In Germania le percentuali salgono rispettivamente al 56% e 13,5%, al 54,3% e 25,6% in Spagna, al 53,9% e 13,2% in Francia.



Dato questo scenario, il direttore del Censis ha avanzato tre proposte per migliorare l’occupabilità delle nuove generazioni: “Anticipare i tempi della formazione e metterla in fase con le opportunità di lavoro: la laurea breve dovrà sempre più costituire un obiettivo conclusivo nel ciclo di apprendimento”. Inoltre “non solo lavoro dipendente, ma soprattutto iniziativa imprenditoriale, professionale e autonoma: bisogna detassare completamente per un triennio le imprese costituite da almeno un anno da parte di giovani con meno di 29 anni”. “Infine, accompagnare il ricambio generazionale in azienda. Si potrebbe introdurre un meccanismo per il quale l’azienda che assume due giovani con alti livelli di professionalità potrà essere aiutata a collocare un lavoratore a tempo indeterminato non più giovane, dopo opportuni corsi di formazione, in altre unità produttive, rimanendo il costo della formazione in capo ai soggetti pubblici”.

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