New York, 3 maggio 2009. Da New York, una delle tappe del viaggio che il Dalai Lama sta in questi giorni compiendo negli Stati Uniti, il leader tibetano ha inviato un messaggio ai compatrioti in Tibet. “Per favore, non fatevi scoraggiare dalla situazione attuale”, – ha detto Tenzin Gyatso – “non dobbiamo cedere”. Dopo aver ricordato che da un anno a questa parte il governo cinese ha intensificato la repressione, il leader tibetano ha affermato che le circostanze e il clima di terrore esistente nel paese sono fonte di depressione per la popolazione, al punto che alcuni sono spinti al suicidio. “Per il Tibet, in questo momento, è una questione di vita o di morte”, ha proseguito il Dalai Lama. “La politica cinese mira a far piazza pulita dell’identità e della cultura tibetana, ma la verità non potrà mai essere cancellata”. Facendo riferimento a una conversazione con un gruppo di profughi recentemente arrivati dal Tibet, Tenzin Gyatso ha affermato che l’inasprirsi della repressione accresce lo spirito di resistenza dei tibetani. Ha tuttavia esortato la sua gente a non abbandonare la via della non violenza perché la verità prevarrà sull’ingiustizia. Ha inoltre esortato i compatrioti a una corretta pratica del buddismo “spina dorsale della cultura e dello stile di vita tibetano”.Parlando a Manhattan, il Dalai Lama ha invitato gli americani a recarsi in Tibet per verificare personalmente la situazione esistente nel paese e smentire l’asserzione del governo cinese il quale afferma che i tibetani sono un popolo felice. “Il governo cinese non ammetterà mai l’esistenza di un problema tibetano” – ha affermato – “ritengo quindi che la comunità mondiale abbia la responsabilità di denunciare pubblicamente che il problema esiste”. “Per favore, vi chiedo di andare”, ha concluso.Il 23 aprile 2009 il governo di Pechino aveva chiesto a quello americano di non consentire al Dalai Lama di visitare il paese. “Ci opponiamo a qualsiasi visita del Dalai Lama in un paese straniero per svolgere attività separatiste, sotto qualsiasi pretesto”, aveva affermato un portavoce del Ministero degli Esteri. Il governo cinese ha inoltre chiesto al presidente Obama di non incontrare il Dalai Lama quando, il prossimo mese di ottobre, si recherà a Washington.Il 29 aprile, a Cambridge (Massachusetts), il leader tibetano si era dichiarato ottimista circa la politica americana riguardo al Tibet e alla Cina. Aveva affermato che, pur essendo la posizione di Barak Obama sostanzialmente identica a quella dell’amministrazione Bush, “lo stile lungimirante e aperto del presidente americano potrebbe produrre cambiamenti positivi”.In un recente incontro con il Comitato dei 100, un gruppo Sino – Americano, Jeff Bader, direttore del Consiglio di Sicurezza per l’Asia della Casa Bianca, ha affermato che la Cina deve considerare il Dalai Lama “parte della soluzione” e non “parte del problema” ed ha chiesto ai “100” di adoperarsi affinché il governo di Pechino cambi la propria posizione nei confronti del leader tibetano.
mercoledì 6 maggio 2009
IL DALAI LAMA: LO SPIRITO DI RESISTENZA DEI TIBETANI CRESCE CON L’INASPRIRSI DELLA REPRESSIONE
New York, 3 maggio 2009. Da New York, una delle tappe del viaggio che il Dalai Lama sta in questi giorni compiendo negli Stati Uniti, il leader tibetano ha inviato un messaggio ai compatrioti in Tibet. “Per favore, non fatevi scoraggiare dalla situazione attuale”, – ha detto Tenzin Gyatso – “non dobbiamo cedere”. Dopo aver ricordato che da un anno a questa parte il governo cinese ha intensificato la repressione, il leader tibetano ha affermato che le circostanze e il clima di terrore esistente nel paese sono fonte di depressione per la popolazione, al punto che alcuni sono spinti al suicidio. “Per il Tibet, in questo momento, è una questione di vita o di morte”, ha proseguito il Dalai Lama. “La politica cinese mira a far piazza pulita dell’identità e della cultura tibetana, ma la verità non potrà mai essere cancellata”. Facendo riferimento a una conversazione con un gruppo di profughi recentemente arrivati dal Tibet, Tenzin Gyatso ha affermato che l’inasprirsi della repressione accresce lo spirito di resistenza dei tibetani. Ha tuttavia esortato la sua gente a non abbandonare la via della non violenza perché la verità prevarrà sull’ingiustizia. Ha inoltre esortato i compatrioti a una corretta pratica del buddismo “spina dorsale della cultura e dello stile di vita tibetano”.Parlando a Manhattan, il Dalai Lama ha invitato gli americani a recarsi in Tibet per verificare personalmente la situazione esistente nel paese e smentire l’asserzione del governo cinese il quale afferma che i tibetani sono un popolo felice. “Il governo cinese non ammetterà mai l’esistenza di un problema tibetano” – ha affermato – “ritengo quindi che la comunità mondiale abbia la responsabilità di denunciare pubblicamente che il problema esiste”. “Per favore, vi chiedo di andare”, ha concluso.Il 23 aprile 2009 il governo di Pechino aveva chiesto a quello americano di non consentire al Dalai Lama di visitare il paese. “Ci opponiamo a qualsiasi visita del Dalai Lama in un paese straniero per svolgere attività separatiste, sotto qualsiasi pretesto”, aveva affermato un portavoce del Ministero degli Esteri. Il governo cinese ha inoltre chiesto al presidente Obama di non incontrare il Dalai Lama quando, il prossimo mese di ottobre, si recherà a Washington.Il 29 aprile, a Cambridge (Massachusetts), il leader tibetano si era dichiarato ottimista circa la politica americana riguardo al Tibet e alla Cina. Aveva affermato che, pur essendo la posizione di Barak Obama sostanzialmente identica a quella dell’amministrazione Bush, “lo stile lungimirante e aperto del presidente americano potrebbe produrre cambiamenti positivi”.In un recente incontro con il Comitato dei 100, un gruppo Sino – Americano, Jeff Bader, direttore del Consiglio di Sicurezza per l’Asia della Casa Bianca, ha affermato che la Cina deve considerare il Dalai Lama “parte della soluzione” e non “parte del problema” ed ha chiesto ai “100” di adoperarsi affinché il governo di Pechino cambi la propria posizione nei confronti del leader tibetano.
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